GLI AMBASCIATORI ITALIANI SUCCEDUTISI IN VIETNAM
Repubblica del Vietnam (Saigon)
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Francesco Vincenti Mareri, Incaricato d’affari con L.C. – 24 ottobre 1950
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Vitale Gallina, Inviato straordinario e Ministro plenipotenziario con L.C. – 27 luglio 1951
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Ferruccio Stefenelli, Ambasciatore – 12 dicembre 1955
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Giovanni D’Orlandi, Ambasciatore – 17 luglio 1962
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Vincenzo Tornetta, Ambasciatore – 13 agosto 1967
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Eugenio Rubino, Ambasciatore – 27 febbraio 1972
Repubblica Socialista del Vietnam (Hanoi)
- Gabriele Menegatti, Incaricato d’Affari a.i. – 2 maggio 1975
- Giuliano Bertuccioli, Ambasciatore – 16 dicembre 1975
- Marco Guido Fortini, Ambasciatore – 27 maggio 1978
- Ludovico Masetti, Ambasciatore – 6 aprile 1981
- Leopoldo Giacomo Maria Ferri De Lazara, Ambasciatore – 17 settembre 1986
- Maurizio Teucci, Ambasciatore – 19 novembre 1988
- Gianluigi Pasquinelli, Ambasciatore – 1 settembre 1992
- Mario Vittorio Zamboni di Salerano, Ambasciatore – 13 novembre 1995
- Luigi Solari, Ambasciatore – 21 gennaio 2000
- Alfredo Matacotta Cordella, Ambasciatore – 2 febbraio 2004
- Andrea Perugini, Ambasciatore – 1 luglio 2008
- Lorenzo Angeloni, Ambasciatore – 18 novembre 2010
- Cecilia Piccioni, Ambasciatrice – 7 aprile 2015
- Antonio Alessandro, Ambasciatore – 29 novembre 2018
- Marco Della Seta, Ambasciatore – 7 agosto 2023
I RICORDI DI ALCUNI AMBASCIATORI
Testimonianza di Ludovico MASETTI
– Ambasciatore dal 1981 al 1986 –
La mia missione ad Hanoi dal 1981 al 1986 è stata una magnifica fase della mia vita, permettendomi di conoscere la storia gloriosa, la vivace realtà e la cultura aperta e coinvolgente di questo Paese, ma sopratutto di conoscere i vietnamiti, di apprezzarne e amarne le qualità umane e sociali, quella combinazione armonica di fermezza e di dolcezza che li contraddistingue, la loro amicizia, ospitalità e operosità. Il popolo italiano aveva seguito con tal entusiasmo e partecipazione la lotta del popolo vietnamita per la sua libertà ed indipendenza ammirandone lo spirito di sacrificio e dedizione, il valore, il coraggio e l’eroismo. Poi con la pace e la normalizzazione, l’attenzione dei Governi e dell’opinione pubblica si era rivolta altrove. Non credo sia accaduto a molti miei colleghi in altri paesi di ritrovare il loro autista ad attenderli leggendo la Locandiera di Goldoni o una vita di Michelangelo; nell’ascoltare un anziano medico che, fra citazioni latine abituali ai dottori della mia giovinezza, disquisiva su eventi della storia vietnamita del XVI sec, ignoti a più del 90% dei miei concittadini. Ricordo l’ultimo incontro con l’illustre Professor Ton That Tung indicato da esperti statunitensi come il più esperto sulla diossina in occasione del disastro di Seveso, quando venne a ringraziarmi paternamente per il “buon lavoro” di collaborazione che aveva svolto su suo incarico con gli ospedali di Genova. Ricordo il soprano che nei concerti, fra Hendel e Mozart cantava le arie della Traviata, nella confidente ma vana attesa che si potesse presentare l’opera nel delizioso teatro nazionale. Voglio sottolineare come la grande cultura vietnamita abbia saputo assimilare la nostra, europea e per cioè stesso cristiana. Come la cultura socialista ha saputo in questo Paese integrare e far propri gli alti valori di quella confuciana: solidità della famiglia, rispetto per gli anziani, educazione dei bambini. E voglio rendere omaggio all’allora Ambasciatore a Roma sig.ra Vinh, gran dama nel senso più nobile del termine, che un giorno rese visita alla mia vecchia madre a Bologna preparandole le squisite specialità della cucina vietnamita, donandole uno dei più bei giorni della sua tarda età. Ricordo il sig. Nguyen Huu Hung allora proprietario del ristorante vietnamita Mekong a Roma e ora di ristoranti a Hanoi. Nel 1986, al termine della mia missione, lo informai del mio prossimo matrimonio e consumai il pasto: poi mi disse che i suoi genitori mi attendevano per salutarmi: mi avevano preparato per Maria Teresa uno splendido “ao dai”. Generosità e rapidità. E i bambini…….la loro franchezza e imprevedibilità: ricordo una sera passeggiando passai accanto ad un giardino dove festeggiavano il Drago: mi accerchiarono e mi trascinarono dentro, e senza accorgermene mi trovai in braccio un piccolo di due o tre anni. E non mostravano la minima timidezza e non domandavano e non attendevano nulla. Affastellando confusamente tante cose, ricordo i consigli, finora non seguiti, rivoltimi nelle visite di congedo dal Presidente Phan Van Dong e dal Generale Giap di narrare le mie esperienze per rafforzare l’amicizia e la conoscenza fra i nostri Paesi. Chiudo finalmente nel caro ricordo dell’allora Ministro degli Esteri Nguyen Co Thach e del suo benvenuto oltre vent’anni fa: al termine della tradizionale intera ora di colloquio mi chiese di chiedergli qualcosa che potesse fare per me e gli sottoposi un annoso caso che subito risolse, così come in seguito soddisfece ogni mia ragionevole richiesta.
Testimonianza di Maurizio TEUCCI
– Ambasciatore dal 1988 al 1992 –
Ho avuto l’onore di essere stato a Hanoi come Ambasciatore dal novembre 1988 all’agosto 1992. È stato il mio primo incarico come Ambasciatore e, come per il primo amore, la prima Ambasciata rimane sempre la più bella. Mille piacevolissimi ricordi mi legano al Vietnam, al suo popolo, alla sua millenaria cultura. Il paese è meraviglioso con le sue montagne, i suoi fiumi, le sue spiagge e le sue isole. Ho amato moltissimo l’area di San La con le sue ridenti colline; la romantica Hue distesa sul fiume dei profumi; Dalat e la baia di Ha Long; e poi la struggente bellezza della quasi assopita Hanoi e delle torri Cham (purtroppo in decadenza) nel sud del Vietnam. C’è una luce tutta particolare che avvolge il Vietnam, di una trasparenza e di una leggerezza uniche, in particolare all’alba e al tramonto (il tramonto sul Mekong è superbo). Il che mi ha permesso di fare molte belle fotografie che serbo come un ricordo carissimo. Il popolo vietnamita è un grande popolo, forte, tenace, lavoratore, ed estremamente capace. Per sintetizzare il ricordo più vivo è il sorriso delle persone, un sorriso non sollecitato, sincero: il duro lavoro delle donne nelle risaie; i bambini con i bufali nei campi; i piccoli scolari gioiosi che entrano ed escono da scuola; il piacevole disordine delle biciclette di Hanoi (ma oggi certamente le cose sono cambiate); “l’ao dai” bianco delle studentesse di città Ho-chi-Minh; i diversi gruppi etnici dai vestiti variopinti che si trovano ancora nel nord. Per la cultura cito soltanto le famose ceramiche vietnamite con i loro colori sfumati. Ogni dinastia ha lasciato un’impronta propria in questa altissima forma d’arte. E accanto alle ceramiche ed ai tamburi metto nei tempi recentissimi le bellissime lacche degli anni ‘50 fine ’80. Le lacche (di assai complessa esecuzione) richiedono una maestria altissima in termini di colore e composizione. Ho conosciuto i grandi maestri di Hanoi. Ne cito qualcuno tra i più prestigiosi: Phan Ke An (che scherzosamente chiamavo il mandarino per l’estrema finezza del tratto e la raffinatezza dei modi); il paesaggista Nguyen Van Ty (deceduto nel 1991); Nguyen Van Binh. Ho passato lunghe, piacevolissime ore nello studio di tantissimi pittori. Ho visto il nascere, il progredire, il tocco finale delle loro superbe lacche. A tutti loro rivolgo il mio affettuoso ricordo. Questi sono in sostanza i ricordi che mi legano al Vietnam. Mi auguro un giorno di ritornarvi come turista. Le “reincarnazioni” sono sempre difficili e talvolta deludenti ma sono sicuro che il Vietnam saprà di nuovo allora ripresentarsi con la bellezza, la simpatia e il sorriso di sempre.
Testimonianza di Gianluigi PASQUINELLI
– Ambasciatore dal 1992 al 1995 –
Arrivare in Viet Nam nel 1992 è stato per me ringiovanire di venticinque anni al tempo in cui fui mandato in Indonesia, mia prima sede asiatica. Ha significato ritornare a vedere quello stesso panorama di risaie interrotte da ciuffi di grossi bambù o di palmizi, le piccole botteghe dove si trova sempre, giorno e notte, qualcosa da mangiare e da bere, lo stesso atteggiamento amichevole della gente, lo stesso sorriso dei bambini. Come prima cosa, volli imparare la lingua di questo nuovo e affascinante Paese. Dovetti ben presto rendermi conto che, in confronto al vietnamita, apprendere il cinese è un gioco infantile. Quando decisi di provare in vivo la mia capacità di farmi comprendere, scelsi un signore dall’aspetto bonario e paziente e mi diressi a lui con una frase di estrema semplicità. Non dimenticherò facilmente l’espressione smarrita di quel povero mio interlocutore il quale per un poco mi guardò tra l’allarmato e il disorientato e poi, in un accurato inglese mi disse con cortesia “Sorry Sir, I don’t understand French”. Non tardai però a capire che per poter conoscere ed entrare in amicizia con i vietnamiti, di qualunque età e di qualsiasi estrazione, la conoscenza della loro lingua non era indispensabile; basta un sincero interesse, un gesto di simpatia e un comportamento onesto. In tutti i contatti che ho avuto negli anni della mia permanenza con cittadini vietnamiti delle più diverse condizioni sociali e intellettuali, non ho mai ascoltato una parola di risentimento nei confronti dei nemici di ieri. Un giorno partecipai ad una colazione di giornalisti europei della quale era ospite d’onore il mitico Generale Giap. Era il tempo quando il Viet Nam si attendeva che gli Stati Uniti togliessero finalmente l’embargo economico che per venti anni aveva asfissiato la sua economia e che si avviassero i negoziati per l’apertura delle relazioni diplomatiche fra i due Stati. I giornalisti erano interessati a capire l’atteggiamento vietnamita verso questi loro ex avversari e varie domande erano rivolte su questo argomento al Generale, il quale ci disse: “Qualche settimana fa, ricevetti un gruppo di veterani americani che avevano combattuto qui in Viet Nam e uno di loro mi domandò com’è che noi potevamo riceverli con un sorriso. Gli risposi che quando venivano qui in divisa e con le armi in mano, noi li ricevevamo con i nostri Kalashnikov ma adesso che vengono da turisti, li riceviamo come amici”. Il popolo vietnamita ha saputo voltare le spalle ad un passato di dolore per rivolgersi con fiducia e operosità verso un futuro di pace e benessere. La loro instancabile alacrità è stato uno degli aspetti che maggiormente mi hanno colpito in questo Paese. Dovunque andassi, in città come nelle campagne, raramente vedevo un vietnamita in ozio. Mi resi altresì conto che assieme alla industriosità, era anche l’ingegnosità un’altra delle caratteristiche di questo popolo, che lo rendevano assai simile a quello italiano, noto per sapersi tirare d’impaccio in qualsiasi circostanza grazie alla forza dell’ingegno. Una volta mi rivolsi ad uno degli impiegati vietnamiti della nostra Ambasciata per sapere dove potessi comprare il tubo di vetro di una mia vecchia lampada a petrolio che si era rotto. Quello prese la misura del diametro e mi chiese di che forma lo desideravo. Il giorno dopo venne con tre o quattro tubi di differenti fogge tutti adatti alla mia lampada. Gli chiesi dove li avesse trovati e mi rispose che li aveva fatti un suo amico, soffiando il vetro, come a Murano, nella sua cucina! Ma la straordinaria capacità di lavoro di questa gente non ne ha soffocato la gioia di vivere e la voglia di divertirsi quando sia possibile. È un popolo allegro che sa ridere e che, dopo decenni di sofferenze e sacrifici, vuole godere ora di quelle gioie alle quali aveva dovuto rinunziare durante i lunghi tempi difficili. Questo spiega la proliferazione – durante il periodo della mia permanenza – di ristoranti, piano bar e, specialmente, di sale da ballo con orchestrina, tanto simili alle nostre “balere” di quando eravamo studenti. Ricordo che amici vietnamiti mi vollero condurre una sera ad una di queste, in prossimità di un lago. Nel gaio frastuono e le giravolte delle coppie, mi colpì la figura di un signore anziano, dall’aspetto molto distinto – avrebbe potuto essere un professore o un alto ufficiale a riposo – che non perdeva un ballo; cambiava sovente dama ma era sempre in pista e si vedeva chiaramente che ballava per il mero gusto di ballare. Riconosco di essere stato fortunato nella mia missione in Vietnam perché sono arrivato in un momento magico che mi ha permesso di assistere ad una metamorfosi tanto radicale quanto repentina non solamente della struttura economica (finalmente si cominciavano a vedere i frutti del “Doi Moi”) ma del contesto sociale e della stessa psicologia e comportamento della gente. Sono arrivato in una Hanoi ancora priva di molti prodotti di prima necessità, dove le donne portavano quasi tutte i pantaloni di tela grigia, dove era difficile trovare un ristorante passabile. L’ho lasciata con diversi alberghi dalle molte stelle, con le prime minigonne, i primi milionari e con negozi dove era possibile trovare persino gli spaghetti e il prosciutto di Parma. Tutto su questo mondo ha un suo prezzo che deve essere pagato. Il Viet Nam aveva incominciato a pagare quello della sua modernizzazione e del suo maggiore benessere quando stavo per lasciarlo. L’inquinamento atmosferico, il caos del traffico, il dilagante consumismo, il crescente divario tra i nuovi ricchi e le fasce meno fortunate della popolazione spinte verso posizioni sempre più marginali, sono stati i primi ratei di questo conto.