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Intervista all’Ambasciatore Antonio Alessandro su “Affari Italiani”

“Vietnam punto di riferimento commerciale e politico”. Parla l’Ambasciatore Alessandro.

(intervista di Lorenzo Lamperti)

Ormai appare sempre più chiaro. La ripresa post Covid passa dall’Asia orientale. Area che ha saputo, in diversi casi, fronteggiare meglio di altre la pandemia da Covid-19 e poi rilanciare la propria economia. Un’area nella quale il ruolo dell’ASEAN, l’associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico, può diventare cruciale. Anche per Italia e Unione europea (come colto da qualche anno dall’Associazione Italia-ASEAN), in virtù non solo delle opportunità commerciali ma anche delle opportunità politiche, rappresentate da esigenze e obiettivi spesso comuni. E all’interno dell’ASEAN chi ha saputo guadagnare una posizione di sempre maggiore rilievo è il Vietnam. Affaritaliani ha intervistato l’Ambasciatore d’Italia ad Hanoi, Antonio Alessandro.

Ambasciatore Alessandro, sono trascorsi quasi due anni dall’assunzione di questo importante ruolo diplomatico in Vietnam. Ci traccia un bilancio di questi primi due anni di incarico?

Il bilancio è molto positivo. Sono stati due anni molto intensi. Sono arrivato nel pieno del boom economico vietnamita, con tassi di crescita molto sostenuti. Il primo anno è stato denso di visite e attività, con le visite del ministro degli Esteri Enzo Moavero, del presidente del Consiglio Giuseppe Conte e del sottosegretario alla Difesa Angelo Tofalo. Il secondo anno è stato chiaramente condizionato dalla pandemia, ma ci sono stati comunque dei colloqui in remoto a livello ministeriale che hanno visto impegnati il ministro Luigi Di Maio e il sottosegretario Manlio Di Stefano. Le relazioni tra i due paesi sono eccellenti ma non dobbiamo dormire sugli allori: serve alimentarle costantemente con visite, scambi, nuove attività. Come, d’altra parte, stiamo facendo. Con la crescita vietnamita cresce anche la competizione internazionale su questo mercato e deve quindi crescere anche il livello della nostra presenza.

Lo scorso anno il presidente del Consiglio Giuseppe Conte è stato in Vietnam, così come nel 2015 c’era stato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Quale impulso hanno dato queste due visite al rapporto bilaterale e qual è l’importanza del Vietnam per l’Italia?

La visita del Presidente della Repubblica è arrivata a valle del partenariato strategico del 2013 e ha consentito di esplorarne tutte le potenzialità. È da quel momento che i rapporti decollano. La visita del presidente Conte ha avuto una valenzia sia bilaterale sia di area, tra Vietnam e ASEAN, e ha aperto la via a una dimensione regionale degli interessi italiani, che poi ha portato al partenariato di sviluppo tra Italia e ASEAN, approvato a settembre scorso. Entrambe le visite hanno contribuito ad accrescere il significato del Vietnam in Italia non solo come mercato e piattaforma produttiva, ma anche come partner politico su temi globali.

Negli ultimi due anni si è parlato molto di Cina e Via della Seta e si è un po’ riscoperto il ruolo che può avere l’Asia per il nostro export. Che spazio occupa il Vietnam in questo panorama di riferimenti “orientali” che vanno dalla Cina al Giappone?

Tra Cina e Giappone c’è il sud est asiatico. L’area ASEAN è sempre più strategica per la stabilità, i commerci, la connettività, la crescita. E’ un’area del mondo che cresce con tassi elevati e che può fungere davvero da motore economico a livello globale. L’Italia ne è consapevole e infatti è divenuta Partner di sviluppo della regione. La Presidenza di turno di Hanoi ha svolto un ruolo chiave a sostegno della nostra candidatura. Hanoi è un punto di riferimento politico nella regione, oltre che nostro primo partner commerciale ASEAN.

L’accordo Ue-Vietnam e l’ingresso dell’Italia tra i partner di sviluppo dell’ASEAN possono schiudere nuove porte? Quali settori di collaborazione hanno la potenzialità per essere approfonditi ancora di più?

Dobbiamo sempre più guardare al Vietnam come un Paese di grandi ambizioni e potenzialità, superando l’immagine ormai datata di un tempo. Il Vietnam non è più solo assemblaggio e basso costo della manodopera, ma è un hub fondamentale per i settori innovativi. Dobbiamo e possiamo lavorare su intelligenza artificiale, spazio, industria 4.0, rinnovabili, smart cities. In aggiunta ai settori tradizionali su cui la nostra presenza è consolidata, come meccanica, tessile, automotive, design e agroalimentare. Così possiamo fare un ulteriore salto di qualità.

La pandemia da Covid-19 ha dimostrato che diversi paesi asiatici, Vietnam in primis, hanno saputo gestire e prevenire meglio la crisi sanitaria e dall’altra parte stanno riuscendo a ripartire per primi dal punto di vista economico. Come mai secondo lei?

Il Vietnam ha avuto l’esperienza della SARS nel 2003 e quindi da subito ha attivato misure straordinarie, con grande determinazione. La popolazione ha risposto con disciplina e rigore. Certamente, in alcuni Paesi asiatici ha aiutato la capacità di controllo sociale e del territorio e una regolamentazione della privacy diversa da quella occidentale. Ma su questo tema vorrei ricordare anche la figura di Carlo Urbani, che nel 2003 si accorse di quel virus così letale e per primo predispose quei protocolli di contenimento della pandemia che sono gli stessi applicati ancora oggi per il Covid. Come sappiamo, Urbani ha sacrificato la propria vita per questa azione di contenimento della SARS. Una figura davvero straordinaria della presenza italiana in questa parte del mondo che anche i vietnamiti ricordano con grande riconoscenza.

Sempre a proposito di pandemia, si è parlato molto sui media occidentali di modello cinese o modello coreano, ma meno di modello vietnamita (io ne ho scritto qui). Secondo lei come mai? Le caratteristiche della strategia di Hanoi sono replicabili anche altrove, Europa compresa?

È vero, la stampa internazionale ha parlato poco del modello Vietnam, che pure è indiscutibilmente uno di quelli di maggior successo, lo dicono i dati. Apprezzo Affaritaliani per aver dedicato un articolo a questo argomento. Forse, secondo alcuni media, il successo è dovuto al controllo esercitato dalle autorità, ma si tratta di una visione riduttiva. La popolazione ha risposto bene alle regole, a partire dalla mascherina per passare al distanziamento sociale. In realtà, alcune misure sono le stesse applicate in Europa, ad esempio la messa a disposizione di una specifica APP per il tracciamento. La principale differenza che vedo sta nella capacità di chiudere ermeticamente i confini, cosa molto più complicata nei Paesi europei.

Negli ultimi anni abbiamo assistito a una guerra commerciale tra Usa e Cina che ha poi tracimato anche in altri settori. Quali sono state le conseguenze per il Vietnam e per l’area del Sud-Est asiatico in genere?

I Paesi ASEAN sono preoccupati per la tensione tra le due superpotenze ed evitano di schierarsi, ne sono preoccupati ed evitano di schierarsi in maniera netta. Desiderano mantenere rapporti economici, e non solo, proficui con entrambi. Al protezionismo rispondono con nuove intese multilaterali di libero scambio, come l’EVFTA tra Vietnam e Ue oppure il RCEP appena firmato nei giorni scorsi. In seguito alle tensioni, alcuni investimenti sono stati dirottati dalla Cina ai Paesi ASEAN (China + 1). Va osservato però che non tutti questi investimenti vengono apprezzati. Dipende dal valore aggiunto che portano, dal grado di integrazione con le catene internazionali del valore e dal contenuto tecnologico. Come dicevo prima, il Vietnam cerca di essere selettivo nell’accoglienza di nuovi investimenti, guardando anche alla qualità e non solo alla quantità. La dislocazione dalla Cina ai Paesi ASEAN non viene accolta come una cosa positiva per default, vanno esaminate le singole operazioni.

Il Vietnam è probabilmente il paese più deciso nel rivendicare i propri diritti territoriali sul Mar Cinese Meridionale. Questo spesso porta a qualche semplificazione nella descrizione dei suoi rapporti con la Cina da parte dei media occidentali. Come definirebbe la relazione tra questi due paesi?

Storicamente la Cina ha rappresentato una minaccia per il Vietnam e sul Mar Cinese Meridionale gli interessi chiaramente divergono, ma concordo che non bisogna semplificare. Vi sono motivi di tensione ma anche tante aree di collaborazione economica e transfrontaliera, oltre allo speciale rapporto che lega i due partiti comunisti al potere. Direi che prevalgono rapporti pragmatici.

Qual è il ruolo ricoperto dal Vietnam in area ASEAN e quanto spazio di collaborazione c’è per l’UE per incidere sugli scenari geopolitici futuri? Anche perché la sensazione è che queste due entità abbiano molti interessi in comune, non solo a livello economico ma anche a livello politico e geopolitico.

Non c’è dubbio. Il Vietnam ha un ruolo crescente all’interno dell’ASEAN. La presidenza nel 2020, caduta tra l’altro nel 25esimo anniversario del suo ingresso nell’associazione, è stata molto efficace e segnata dal motto “cohesive and responsive”. Era stato creato prima della pandemia ma si è rivelato molto appropriato anche dopo tutto quello che è successo. Dalla presidenza vietnamita l’ASEAN emerge a tutti gli effetti più coesa e rispondente ai bisogni e alle emergenze. Vietnam e ASEAN sono riusciti a trasformare un problema in un’opportunità. Durante il Summit conclusivo di pochi giorni fa si è firmato il RCEP, accordo di libero scambio tra i dieci Paesi ASEAN e altre importanti economie regionali. L’UE segue da vicino questi sviluppi ed è impegnata ad accrescere le relazioni. Il 1° dicembre è in programma una ministeriale UE-ASEAN a cui parteciperà anche il Ministro Di Maio. L’obiettivo europeo è quello di giungere a un partenariato strategico bi-regionale. Posso assicurare che qui la presenza europea e italiana vengono sempre accolte bene, anche perché vengono viste come una diversificazione rispetto a Cina e Stati Uniti. Lo spazio per una maggiore presenza e un maggiore ruolo ci sono, e anche l’impegno non manca.